Onora il gioco

di Chiara Scardaci

Quando ho compiuto cinquant’anni, nel novembre dell’anno passato, mi chiedevo che cosa avrei potuto regalarmi per celebrare il mio mezzo secolo.

C’era un desiderio nel mio cuore che sembrava irrealizzabile.

Tuttavia, ho continuato a coltivarlo, affidandomi un po’ all’idea che, al di là di ogni nostra espressione di volontà, è il destino che trova la strada per compiersi, realizzando ciò che è scritto che saremo e che abbiamo necessità di diventare.

Ho iniziato a guardare le partite, a studiare le regole, ho comprato le prime scarpe e, soprattutto, ho cercato di penetrare la magia, che intuivo esistere, in quei 5 giocatori scattanti in attacco e in difesa lungo tutto il campo.

Ma per capire il basket bisogna giocarlo.

Così, pochi mesi più tardi, entro in contatto con l’Avila basket tramite il coach Stefano Mauro.

Si alzano voci dissonanti: qualcuno pensa che io sia fuori di testa a iniziare a giocare alla mia età, senza aver mai toccato prima una palla a spicchi.

Peraltro, in una squadra tutta maschile composta da cestisti esperti.

Ma altri, tra cui mio fratello Davide, e altre, tra cui 8Angela del bar sotto casa (pallavolista appassionata), mi dicono soltanto di andare e basta, di giocare senza esitazioni.

Stefano mi incoraggia a provare, mi dice che giocherò in mezzo a gente che sa muoversi e che sa come difendere e al contempo, come difendersi, da chi non sa giocare.

Parlando con lui mi sembra tutto molto easy, alla mia portata, possibile.

Così, dopo settimane di dubbi, finalmente, eccomi lì a guardare il primo canestro della mia vita (mizzica se è alto, penso dal mio 1,61 cm) e a tenere fra le mani la prima palla da basket, con degli improbabili calzoncini Jordan rubati a mio figlio e nemmeno a dirlo, una maglietta da running.

Mi sento subito a mio agio perché all’Avila basket non c’è età, razza, genere, altezza e abilità: conta solo il gioco e nel gioco c’è uguaglianza ed è tutto, per riprendere le parole del coach, “dannatamente normale, fluido, semplice, asessuato.

Non si ruba

Non si regala

Non si fanno sconti

È la tribù del basket

È fratellanza”

E io mi rendo conto, con il tempo, mentre il mio abbigliamento cambia, che gli  omaggi al principiante sono finiti e che non sono per i miei team matené una mascotte da coccolare, né un fardello da trascinare”(feat coach).

Se scendo in campo mettendoci tutta me stessa, se onoro il gioco, allora, sono una di loro.

Non importa  se sbaglio tiro, passaggio, se ero e sono un disastro in difesa, se non so dove posizionarmi in attacco, se il blocco è un mistero: sono lì con loro con tutto ciò che sento, e onorando il gioco onoro me stessa con le incertezze, le insicurezze, le rigidità e i pensieri pesanti che mi appartengono.

Basta seguire il loro esempio.

Ognuno dei miei compagni di squadra onora il gioco diventando un’incarnazione effettiva di ciò che il basket, già dalle sue origini, rappresenta: inclusione, collaborazione, versatilità dei ruoli, generosità.

Per me sono tutti dei veri mostri: penso ad Andrea al suo gioco equilibrato e ai suoi tiri da tre, a Giuba e Dom determinati e abili in ogni ruolo, a Paolo e Matteo e alla loro voglia di finalizzare l’azione facendo canestro, a Pasquale il mio personal trainer della difesa a uomo, a Nacho che mi assegna la difesa in post alto e mi premia con un brava a fine gioco, a Federico che se lo smarco come dice Dom vedi che non segna, a Mario e a Giancarlo padre e figlio sul campo in parquet perché il basket è anche tradizione di famiglia, a Eugenio e a Pietro  e alle loro poderose guerre sotto canestro, ai rimbalzi acchiappati da Franchino, agli scatti in palleggio di Gianluca, ai movimenti sinceri e rapidi di Alberto.

Penso agli applausi, al mio nome chiamato, ai consigli suggeriti tra un attacco e una difesa, alle storte e alle botte, ai 5 in partita anche se sbaglio perché ci provo sempre, tentando di scrollarmi di dosso la paura dell’errore: tutti sbagliano ma onorando il gioco.

E allora va bene, è giusto, è così che si fa.

Mentre scrivo mi commuovo e sento una immensa gratitudine per questo gioco così ambizioso nato molto tempo fa (grazie Naismith ovunque tu sia) e arrivato a noi oggi come una speranza mai morta, per una umanità migliore.

Per parafrasare il grande Phil Jackson, se è vero che nella vita c’è più del basket, anche nel basket c’è più del basket.

Sono convinta di essermi concessa un impareggiabile regalo, perché più di ogni gioiello, più di ogni festa o viaggio, la pallacanestro mi ha arricchito interiormente e, sono sicura, continuerà a farlo.

Dedico questo pezzo al coach, a cui va il merito di trasmettere ai suoi giocatori indistintamente l’essenza del basket, e ai miei compagni di squadra, eccellenti realizzatori di quell’essenza.

A tutti loro per non avermi mai fatto sentire fuori posto, solo perché sono donna, inesperta, piccola, e diciamolo più vecchia…😂

e ora, giochiamo!🏀

Ps: un pensiero al podismo, senza la corsa non avrei mai potuto avere una sufficiente preparazione atletica per giocare a basket. Grazie alla #runandsmile per aver ospitato questo pezzo dimostrando di essere versatile nell’amore per lo sport, proprio come la corsa e il basket richiedono.🏃‍♀️

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Chiara AM Scardaci

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